Il 22 febbraio 2022, un anno fa, il parlamento della Repubblica del Canton Ticino ha approvato il decreto legislativo per la progettazione e l’edificazione di quello che appare ed è, a tutti gli effetti, un carcere-contenitore camuffato da centro educativo, il CECM (Centro Educativo Chiuso per Minori). La commissione di giustizia e i partiti di governo hanno spinto e ottenuto il credito cantonale, pari a 3’345’000 franchi.
Nel recente servizio di approfondimento sull’argomento de “Il Quotidiano” della RSI del 27.02.23, lasciano basiti le dichiarazioni dei magistrati. Sia la magistrata dei minorenni, Fabiola Gnesa, che il sostituto procuratore generale, Moreno Capella, mettono l’accento sull’impossibilità e la difficoltà nel gestire l’aumento esponenziale di minori e giovani adulti con problemi psichici che commettono reati. Quello che sconcerta è il sentire ancora dichiarare pubblicamente che il problema maggiore in quest’ambito è la mancanza di infrastrutture per accogliere e gestire il disagio psichico.
Il coordinamento contro il centro educativo chiuso minorile (CECM) nasce nel 2010 presso la sede del circolo Carlo Vanza a Bellinzona. Sebbene ci siano state e siano presenti persone di altre estrazioni politiche, che nei primi tempi hanno dato un contributo tangibile, il coordinamento è a forte trazione anarchica.
Infatti, lo zoccolo duro è costituito da anarchiche e anarchici ticinesi che rappresentano una delle realtà politiche più presenti, oltre alle attività culturali svolte dal circolo.
L’azione dellə anarchichə nasce per contrastare un’iniziativa dei giovani liberali volta a coercizzare e “redimere” minori ai margini della società con la costruzione di un carcere dedicato. L’iniziativa liberale prese le mosse cavalcando l’onda emotiva che si era fatta largo nell’opinione pubblica dopo la morte di Damiano Tamagni durante il carnevale del 2008 a Locarno per opera di tre balordi, ventenni all’epoca dei fatti, i quali, per uno screzio, pestarono il ragazzo lasciandolo agonizzante a terra dopo avergli sferrato un calcio alla tempia.
Lo scalpore e la rabbia furono alimentate dal fatto che i tre erano di origine balcanica; un’aggravante per le destre che, in casi come questi, ci sguazzano.
L’opera del coordinamento, fu quella dì riportare il dibattito sulla questione delle politiche giovanili e della gestione del disagio.
La proposta del carcere quale soluzione alla delinquenza minorile ci ha visti, da subito, sulle barricate e per ovvi motivi.
Noi pensiamo che, anziché spendere più di 6 milioni di franchi per il CECM tra Cantone e Confederazione -ma mentre il parlamento ticinese ha già approvato, un anno fa di questi tempi, il credito, la Confederazione deve ancora pronunciarsi. Lo stanziamento di altri 3 milioni circa è infatti subordinato a un preavviso favorevole o meno del Dipartimento federale di giustizia e polizia- bisognerebbe ampliare, sviluppare le strutture già esistenti, con concetti pedagogici, terapeutici, sistemici, preventivi e non repressivi. Il centro contempla delle celle chiuse e altre gravi privazioni contrarie alla Carta dei diritti umani, non ha ancora un chiaro concetto pedagogico e la gestione verrà affidata ad un’istituzione privata, che ha in Comunione e Liberazione il suo ombrello protettivo.
I benpensanti non si sono limitati al tentativo di riesumazione di un carcere minorile -nel Luganese, a Taverne-Torricella, esisteva un riformatorio che venne chiuso trent’anni fa- ma vogliono renderlo fruibile “à la carte” per quelle strutture che già si occupano di adolescenti e che avrebbero il loro terminale, nei casi estremi, in tale centro.
Gli addetti ai lavori sanno bene che la gestione di adolescenti problematici comporta il farsi carico, a livello sistemico, di molti aspetti che influiscono sui loro percorsi di vita. Per la maggioranza di direttori e responsabili, invece, è sufficiente togliere la “mela marcia” dal cesto e cioè, dagli istituti o dai foyer (i CEM, i centri educativi per minorenni, possono essere composti da diversi gruppi all’interno dello stesso edificio oppure da un unico gruppo e, in questo caso, vengono detti foyer, “focolare”).
Il colpo di genio di unire un centro educativo di osservazione (eufemismo in salsa ciellina) con alcune celle per “l’espiazione della pena”, lo si deve, fra gli altri, all’allora magistrato dei minori, Reto Medici. Siccome non si vuole abusare degli psicofarmaci, perché non utilizzare letti con cinghie di contenzione, comunque, per un massimo di sette giorni? E non finisce qui; un approccio moderno chiama il modello gestionale privato, per cui si decide di affidare il progetto pedagogico e che otterrà, dettaglio non del tutto trascurabile, circa un milione e mezzo di fondi l’anno, alla fondazione Vanoni, fortemente legata alla galassia di Comunione e Liberazione…La stessa fondazione che è proprietaria di svariati istituti e terreni in Ticino e che vorrebbe creare, tramite inciuci con la politica, un “polo sociale” nel quartiere Molino Nuovo a Lugano con conseguente stanziamento di fondi su fondi. Politica, la cui ricetta è sempre la solita: privatizzare, delegare, affidare a enti moralizzatori la risoluzione dei problemi. Il progetto pedagogico è un altro punto nodale nel percorso di attuazione del CECM. Per ottenere il credito federale andava presentato entro fine febbraio di quest’anno, ma le cose stanno ancora in alto mare. A produrlo dovranno essere la fondazione ciellina con la supervisione dell’Ufficio del sostegno a enti e attività per le famiglie e i giovani del Cantone.
Nel suo piccolo, il Coordinamento contro il Centro Educativo chiuso ha tentato invano di sensibilizzare la politica. Le informazioni, ad esempio sul progetto pedagogico, sono a solo appannaggio dei politici. Inascoltato e lasciato sostanzialmente solo, senza alleati e senza nemmeno quei pochi curiosi “distratti” che avrebbero potuto offrire una visione costruttiva e alternativa al carcere, i quali si sono defilati lasciando campo libero ad una scelta irrazionale, supportata da interessi poco lungimiranti e finalizzati ad una visione della realtà delle problematiche giovanili da affrontare unicamente in chiave coercitiva. Mi chiedo, ci chiediamo, come la dirigenza dei servizi sociopsichiatrici in primis e le varie istituzioni preposte al supporto dei giovani, possano aver tanto tardato, non reputando necessario intervenire prima.
Da tempo sosteniamo e proponiamo un’alternativa che sia complementare ai ricoveri e soprattutto al carcere o alla detenzione coatta. Dice bene il capo servizio della clinica psichiatrica cantonale Carlo Emilio Bolla: “non servono altri posti letto, bensì, una serie di soluzioni intermedie sparse sul territorio, ambulatoriali, ma anche a domicilio e strutture ad hoc”.
Di conseguenza e parallelamente ci pare ineludibile il bisogno di potenziare il lavoro di prevenzione a partire dagli interventi presso le famiglie in difficoltà, nella scuola, incentivando l’attività dello Street Work (gli operatori sociali di strada), nelle associazioni attive nel campo del lavoro con i giovani e altro ancora, per individuare e contrastare tempestivamente le situazioni di disagio sociale e psichico. È frustrante assistere al lassismo e alle prese di posizione senza contenuti seri, diremmo quasi fataliste, della stragrande maggioranza del mondo politico. Vorremmo un cambio di marcia per una visione lungimirante, che risponda realmente ai bisogni della società, in special modo delle fasce di popolazione più bisognose.
Comprenderete che l’azione del coordinamento è di proporzioni titaniche; siamo a Davide contro Golia…
Qualcosa, comunque, l’abbiamo ottenuta e cioè, l’abolizione delle cinghie di contenimento. Ora stiamo puntando sul fatto che, a livello federale, non c’è ancora un preavviso favorevole ad associare carcere e centro educativo; secondo la Confederazione, le due entità dovrebbero rimanere separate. Se il credito federale non verrà concesso, il progetto dell’impianto cadrà e verrà di nuovo messo in un cassetto del parlamento ticinese.
Parallelamente stiamo cercando di proporre delle alternative alle sbrigative soluzioni istituzionali di rinchiudere il disagio psichico e sociale giovanile. Prendendo ad esempio realtà come quella posta in essere da uno svizzero tedesco, Jürg Zbinden, immigrato in Ticino cinquant’anni fa e che è riuscito, nel tempo, a coinvolgere e a ridar vita a uomini e donne persi nelle tossicodipendenze. Nel Centovalli, nel Locarnese, ha ricostruito con loro, dopo averli acquistati allora al ribasso per 5000 CHF, due piccoli villaggi che erano in rovina, Bordei e Terra Vecchia, oggi degni della protezione dell’UNESCO. E Zbinden, al contrario della fondazione Vanoni e della politica istituzionale, non era certo spinto dalla sete di profitto. Ma questa potrà forse essere un’altra storia dalle terre elvetiche.
Bruno Brughera del Coordinamento contro il CECM